Dal diario del caporale Tom (prima parte)

Mi chiamano “TOM”, ho vent’anni da otto mesi e oggi torno dalla guerra. Una guerra difficile e inutile. Torno a casa dopo quasi due anni, la guerra è finita  e torno che non ho né vinto né perso. Sono stanco, ho ancora la divisa e lo zaino in spalla con poche cose. Poche cose da ricordare, tante cose da raccontare. Ho la barba lunga, puzzo di sudore, puzzo di dolore, puzzo di sangue. Abbiamo attaccato e ci siamo difesi, abbiamo sparato,  abbiamo ferito, abbiamo ucciso.

Voci stonate

Tutte quelle luci che si rincorrevano a festa, quel vocio di mercanti e gente, dentro a  musica e suoni. Uno spettacolo bellissimo, meraviglioso, la strada piena di gente d’ogni età, piena di bimbi incantati. E tutti alla ricerca di qualcosa di utile, di qualche occasione da non perdere, di qualcosa da conservare. “LA FESTA”, era al culmine ed era già mezzanotte, c’era voglia di passeggiare, di girare, di incontrarsi, di raccontare, e poi era la serata giusta, né calda né fredda.

Dove sono finite le rondini?

Non mi sembrava vero, erano tornate di moda. Ed io che aspettavo da una vita, fui colto da un’improvvisa voglia di ammirarle, di aprirle, provarle. Erano le camicie degli anni ’60, a fiori, a pallini, disegni vari e in quel negozio  ne avevano tante. – Sono tornate di moda – mi dissero. Ero entrato per tutt’altra cosa ma mi inchiodai in quella parte di negozio davanti a quelle camicie che mischiavano nostalgia a ricordi.

La lucciola e la gallina

La straordinaria ricerca di “genuinità” dei miei genitori, mi fece perdere tra le viuzze di campagna alla ricerca di una “masseria” per acquistare una gallina. L’avrei portata a casa in un sacco non completamente chiuso, con la bici. L’avremmo cresciuta per un bel po’ e poi avrebbe fatto la fine delle altre: sarebbe finita in pentola. Colpa di quelle viuzze tutte uguali, ad un certo punto non sapevo più né dove mi trovavo né dove andare.

Le tasche piene di biglie

-Eri un monello – mi disse quell’anziana signora incontrata per caso e che subito mi riconobbe. Poi continuando: – mi facevi paura quando passavi o ti incontravo per strada, sempre con quel “fucile” - . E mentre parlava mi sembrava fosse ancora arrabbiata dopo più di mezzo secolo. Per fucile intendeva una striscia di legno lunga circa una cinquantina di centimetri ricavata quasi sempre da un “tiraletto” in disuso, che non ce la faceva più a mantenere le corde di tabacco.

Dieci minuti a mezzogiorno

Era un lunedì e come tutti i lunedì triste e pesante. Non ricordo quello che dovevo fare ma ricordo bene di aver finito prima. Mancavano 10 minuti a mezzogiorno quando incrociai con lo sguardo, un invitante piatto pieno di ogni ben di Dio e sopra era scritto “aperitivo speciale”. Non ebbi dubbi, entrai. Entrai in quel bar tra un chiacchiericcio di persone che ordinavano, chiedevano il conto o parlavano del più e del meno. Trovai in fondo un  tavolino che sembrava lasciato apposta per me.

La giusta direzione

Quando avrai alle spalle un po’ di anni, forse troppi, a volte capiterà di chiederti se hai fatto la strada giusta, se hai preso la direzione giusta. Lo farai voltandoti indietro  a guardare se c’è stato qualcosa di sbagliato, se qualcosa non ha funzionato o se in qualcosa hai esagerato. E quando lo farai, mille dubbi ti assaliranno e mille domande chiederanno una risposta che non arriverà.   
“Forse avrei dovuto difendere qualcosa, cambiare atteggiamento, migliorare il comportamento.
E fare quella strada fortunata, quella strada inaspettata, quella strada accidentata.

Il sogno

M’ero girato e rigirato, avevo sudato  e forse urlato insomma avevo passato una notte insonne. Mi svegliai che ero fresco e riposato, era stato un sogno, solo un sogno, un brutto sogno. Avevo solo sognato una notte agitata, avevo sognato una notte insonne. A mezzogiorno partì il primo sbadiglio – sarà fame – pensai.  Il  tempo di sbrigare qualche altra commissione e gli occhi facevano fatica a restare aperti.

Al mare con Romina ed Al Bano

La trovavamo sulla spiaggia più vicina a Cellino San Marco a raccogliere conchiglie, passeggiare, a volte la vedevamo passare a cavallo, ma d’estate era quasi sempre là, su quella spiaggia. Lui invece si faceva vedere poco, quasi mai. Abbiamo anche scambiato qualche parola in fondo avevamo più o meno la stessa età. Trascorrevo quasi tutta l’estate a Brindisi da mia zia e frequentavamo quella spiaggia perché eravamo sicuri di trovarli. Accadde che un po’ di stagioni dopo non andai più da mia zia e forse neanche loro andarono più su quella spiaggia.

Francoise Hardy

Ero si e no tredicenne, ma quando sfogliando quel giornale incrociai il suo sguardo, non ebbi alcun dubbio: “era il mio ideale”. Quando poi ascoltai le note di quella canzone che la fece conoscere in tutto il mondo non risposi più di me. Cantava  “tous les garcons et les  filles de mon age….” strimpellando le corde di quella chitarra su cui poggiava dolcemente la sua voce. Quella chitarra che le avevano regalato per il suo compleanno e che da sola aveva imparato a suonare. Vi starete chiedendo il suo nome: Francoise Hardy.