“C’è bisogno di politica”. L’uomo, sulla settantina, indossa un loden blu. Per tutta la sera è rimasto in silenzio a guardare fisso il palcoscenico su cui sette sedie e un microfono ospitano almeno trent’anni di storia socialista italiana, salentina e galatinese.
Quando l’ultimo tiepido applauso saluta la rassegnata speranza di Bobo Craxi in un futuro in cui i socialisti non debbano più “tenere il capo chino” (come è accaduto nell’ultimo trentennio), quel taciturno signore con i capelli ormai bianchi sbotta nella perentoria affermazione iniziale ed esce dal Cavallino Bianco senza salutare nessuno. L’aria fuori è quasi calda e non sembra di essere al 25 di gennaio.
Intanto la platea, come aveva fatto in attesa che gli oratori prendessero la parola, si accalca verso quello che era il golfo mistico per rendere omaggio ai relatori e stringere quelle mani che, tutte insieme, non sfiorava da troppi anni.
La più corteggiata, a parte Bobo, è Maria Rosaria Manieri, per cinque legislature senatrice della Repubblica. “Non eravamo una banda di ladri -aveva perentoriamente affermato durante il suo passionale intervento- ma una comunità che questa sera è tornata a riunirsi”.
I suoi ricordi di “Bettino” erano stati quasi commoventi: la sua “carezza sui miei capelli”, “il bigliettino scritto di suo pugno per far sapere che dovevo diventare segretaria d’aula appena eletta per la prima volta”.
Anche le sue autocritiche erano profonde: “Siamo stati una dirigenza politica che non ha saputo fare argine alle cattiverie, soprattutto dopo il vergognoso episodio delle monetine. Eravamo troppo piccoli e forse disorientati”.
“Ho paura -aveva però confessato- che, alla dannazione della memoria di ieri, segua oggi una riabilitazione altrettanto falsa. Siamo ad uno snodo tragico e doloroso della democrazia italiana”.
L’ultima stoccata l’aveva riservata a Elly Schlein: “Prova a dire qualcosa di sinistra e abbi il coraggio di pronunciare il nome Craxi e la parola socialismo”.
L’applauso caldo si trasformava ora in voglia di abbracci come ai bei tempi.
Poco più in là Damiano Potì, che fu deputato ma anche sindaco di Melendugno, saluta i suoi e ribadisce che “Craxi fu uno dei più illustri politici dell’Occidente e disse no all’ideologia comunista”. Dal palco aveva fatto l’appello al tesseramento al PSI, con il cuore gonfio di orgoglio davanti ad una sala probabilmente immaginata come piena di socialisti.
In realtà le poltrone rosse del teatro galatinese erano occupate, oltre che da esponenti vecchi e nuovi del ‘Garofano’, da tante persone incuriosite e vogliose di riscoprire la “politica”.
Tutto l’arco costituzionale (come si diceva una volta), ma anche tutte le neo formazioni, erano rappresentati. Quelli che furono democristiani sedevano accanto a vecchi esponenti del Movimento Sociale Italiano. Non mancava qualche comunista e sembra che siano stati intravisti anche un paio di radicali pannelliani e un gruppetto di ‘grillini’. I ‘forestieri’ erano molti.
L’età media dei presenti oscillava intorno ai sessant’anni con picchi ben superiori agli ottanta. Da contare sulle dita delle mani i trentenni.
Aveva visto giusto Bettino Craxi (“Ci vorranno almeno 20 anni affinché rientri la disaffezione alla politica”). “I socialisti sono sempre stati una forza minore. Non avevamo la maggioranza assoluta- aveva ricordato il figlio Bobo nel suo intervento conclusivo- e quindi non avevamo tutta la responsabilità”.
“Bettino è stato il capro espiatorio della politica italiana -aveva prima affermato Biagio Marzo. Fu linciato e furono occasioni barbare in cui cadde la democrazia italiana.” “Fui tra quelli -aveva confessato l’ex-deputato pugliese- che lo spinsero ad andare ad Hammamet perché l’alternativa sarebbe stato il carcere. È stato un esule come tanti grandi italiani”.
La “piccola festa” (per ricordare i 25 anni dalla scomparsa di Craxi, ndr) di cui aveva parlato Fabio Vergine, Sindaco di Galatina, nel suo saluto iniziale, potrà diventare l’inizio di una nuova primavera politica galatinese che tenga conto del passato e sappia progettare il futuro?(Mimino Montagna).
Sarà difficile che questo avvenga se i giovani non si avvicineranno, senza paura di sporcarsi le mani, alla politica che ha ed avrà sempre il fascino misterioso del servizio attuato attraverso la responsabilità del potere.
“Non eravamo una banda di ladri"
