"Sono stata adottata"

Sono  stata adottata qualche anno dopo che ero nata, sono stata fortunata, sono stata amata e sono cresciuta felice tra calore e colori. Ho conosciuto la mia storia che ero già grandicella e senza togliere neanche un filo di bene a mia madre e mio padre che m’avevano cresciuta non ho avuto più pace. Volevo conoscere la storia, la mia storia.
Ho chiesto a mia madre tutto ciò che sapeva e lei m’ ha raccontato tutto ciò che sapeva.

Le scarpe degli altri

Ero stato invitato ad un convegno presso l’ università di Bari, dove si sarebbe parlato di “immigrazione”. Non sarei mancato per nulla al mondo, non aspettavo altro, alla presenza del Magnifico Rettore, di un assessore in rappresentanza della Regione, della preside della facoltà di sociologia e di tante altre personalità, avrei esposto il mio modesto pensiero.
Non avrei detto che occorre costruire muri ma poco sarebbe mancato. Insomma avrei sostenuto la “tesi” che non si poteva andare avanti così.

La neve di Alice

“Ti lascio Alice per un po’. Giusto il tempo di fare un paio di commissioni urgenti. Ci vediamo più tardi”. Ed io, la cugina più grande, per tutti Annì,  da pronunciare con inconfondibile accento francese, mi trovai con la cuginetta più piccola a dover trascorrere la mattinata.
Era inverno, faceva anche molto freddo ma la neve non si decideva a venire giù. L’aspettavamo soprattutto per Alice, dieci anni, che non l’aveva mai vista.

Natale a Dubai

Natale a Dubai era il sogno della mia vita e quell’anno finalmente lo stavo realizzando. Un po’ prima di mezzanotte ero al settantacinquesimo piano di quel grattacielo  su cui si poggiavano tutte le stelle del cielo di Dubai. Da lì si vedeva tutta la città avvolta da luci e colori straordinari. Si vedeva il mare, si vedeva la neve, passando per casinò e negozi.

La belvedere

Diamine a quella BELVEDERE che per in po’ non mi staccava i bottoni del cappotto. Non ne passavano tante anzi erano abbastanza poche e rare le macchine in circolazione e forse per questo, quella volta  senza pensare, mi staccai dalla mano di mia madre e feci per attraversare la strada. Stavo per finire sotto quella BELVEDERE con le rifiniture in legno, color miele, questione di millimetri, questione di secondi, questione di fortuna.

La lettera di Peppe

“Fu intorno agli 80 anni  che cominciai ad avvertire l’ebbrezza della mia inutilità, fu proprio intorno a quegli anni che cominciai a sentirmi leggermente vecchio. Ero precisamente nell’età in cui ti fanno passare avanti, ti fanno sedere, insomma l’età in cui si comincia a fare pena. Sino a qualche anno prima, quando dimenticavo qualcosa andavo in bestia, ma ormai dimenticare in fretta era diventato quasi normale e allora non ci pensavo più.

"Non è stato più 'cazzaro' degli altri"

Al netto della paura per una improbabile dittatura o nella migliore delle ipotesi del pericolo dell’uomo solo al comando. Al netto delle Borse, dello Spread, del PIL e del fallimento di otto banche. Al netto dell’appoggio delle Ambasciate, dei giornali italiani e stranieri, dell’Europa, di Confindustria, Confartigianato, Coldiretti, CISL e altri,  a cui poi si sono aggiunti i pronunciamenti  spesso interessati di nani, cantanti e ballerine.

"Ci vediamo"

Ci salutammo con tanti bei progetti, tante belle parole, percorrendo sommariamente tutte le occasioni che ci avrebbero fatto incontrare di nuovo. -Ci vediamo- feci io. -Senz’altro – rispose  lui.Da quel ci vediamo in poi, passarono vent’anni. Tutte le occasioni che avevamo immaginato, per un motivo o per un altro saltarono.
Lui viveva in un paese del nord-est. Era molto conosciuto e molto apprezzato. Ci aveva detto con una battuta – vado a fare fortuna -. E la fortuna l’aveva fatta davvero. Insomma era uno che ce l’aveva fatta.

"Volevamo avere noi il privilegio di chiudere l'Ospedale"

L’appuntamento era alle otto di sera, più o meno. Ma già un paio d’ore prima si cominciava a notare un insolito fermento davanti al luogo dell’appuntamento: BAR DELLE ROSE. Capannelli di persone già in attesa, altre arrivavano lentamente ed andavano ad aggiungersi ai presenti.
Più o meno all’ora stabilita arrivava lui, l’ONOREVOLE  e tutti a corrergli intorno. Saluti, abbracci,  sorrisi e pacche sulle spalle.
Poi nel BAR per un qualcosa da offrire all’0norevole, poi a parlare un po’ delle novità e poi magari un giro in centro.

L'Assessore

Era più o meno un vicino di casa, ma per questione di rispetto, non lo chiamai per nome, gli feci:  – Geometra – ma niente. Aveva sotto il braccio, una decina di quotidiani e qualche settimanale, un cappotto di marca, ed era circondato da una gruppetto di affezionati che gli parlavano, gli proponevano, insomma: ragionavano. Allora lo chiamai – assessore - . Beh, non ci crederete, si voltò immediatamente, in fondo lo era veramente, e, per la verità, fu molto gentile e disponibile. Guardò l’agenda e mi fissò un appuntamento per qualche giorno dopo.