C’è un tempo per parlare ed è questo

L’importanza del linguaggio, nella vita di tutti i giorni e nelle grandi tragedie del nostro tempo

Non avrei mai pensato di assistere a un’oggettiva difficoltà di espressione di persone che per la maggior parte della loro vita hanno invece usato il linguaggio in modo egregio, serrato, diretto. Eppure ci sono malattie subdole che spingono al silenzio o, peggio ancora, a parlare senza la classica logicità che ci si aspetta in un interlocutore. Parole plasmate da una mente rallentata che spesso sa cosa vuole dire, ma non sa più come farlo. Non è una prigione anche questa? Non è terribile pronunciare frasi che siamo convinti esprimano nel modo corretto quello che abbiamo in testa e che invece risultano pezzi fragili di un racconto che appare ormai impossibile? Quelle stesse malattie di cui sopra sono capaci di frenare anche l’altra possibilità che abbiamo di solito per farci comprendere, la scrittura. Così anche scrivere il proprio nome diventa un’impresa titanica.
Guardo chi combatte tra rabbia e tristezza davanti a questa sua condizione non voluta e penso a chi ha la facoltà di affermare tutto ciò che desidera e non sfrutta questo dono, conquistato con l’educazione, la scuola e l’esperienza. Anzi, lo usa magari solo per insulti o pochezze, dando per scontato di avere il tempo per dire prima o poi la cosa appropriata.
Quanti politici si nascondono dietro parole forbite e non lasciano nulla in chi li ascolta, se non il vuoto di ritornelli già sentiti! Perdono occasioni su occasioni di esprimere un’empatia vera che a volte serve più della grande legge, si preparano fogli di chiacchiere da leggere in quella o in quell’altra circostanza, riflessioni che, passate al setaccio, attraversano anche la trama più fitta senza lasciare un granello di sostanza.
Quanti personaggi noti potrebbero sfruttare la propria posizione per dire qualcosa in grado di trasmettere un segno tangibile e, chissà, provare a fare una piccola grande rivoluzione. Si sceglie piuttosto di tacere, di girarsi dall’altra parte, tanto qualcuno parlerà anche per me.
Ecco allora il grande silenzio su Gaza e lo strazio che sta accadendo.
La paura e l’indifferenza (“in fondo non ci tocca da vicino”) prendono il sopravvento sulla capacità di esprimere opinioni e pensieri che potrebbero fare la differenza, smuovere un po’ quei tavoli su cui si sta accumulando polvere, intorno ai quali non c’è nessuno davvero intenzionato con le unghie e con i denti a mettere fine all’inumano a cui stiamo assistendo. I pochi che cercano di narrare cosa succede, spiegandolo anche con puntualità e chiarezza (penso a Emilio Mola, per citarne uno), non hanno da soli la forza di frenare la guerra, ma hanno una voce che non temono di alzare. E non si può fare a meno di ascoltarla. Il linguaggio è fondamentale, potersi esprimere è tra le cose a cui dovremmo essere più legati, senza dare per certa la nostra capacità di poterlo fare per sempre.
Se in questo momento siamo in grado di parlare, diciamo la cosa giusta, comunichiamo ciò che sentiamo, non rimandiamo i “ti voglio bene” né tanto meno i “così non va”. Abbiamo il diritto e il dovere di manifestare i nostri pensieri.
Non servono necessariamente cose intelligenti da proferire, ma servono cose credibili, attendibili, sincere, basate su una conoscenza e, perché no, sull’autenticità di un sentimento.
Sotto la valanga di parole che ci travolgono ogni giorno, dobbiamo essere in grado di individuare quelle oneste e farne tesoro anche per quei silenzi o quelle incapacità espressive che avrebbero da dire decisamente più di tanti beoti dediti esclusivamente a bestemmie e bugie.