Stefano e Cristian, quando il mondo non è pronto a un addio così precoce

La morte di un 35enne di Galatina e di un 40enne di Nardò lasciano tutti nel limbo dei dubbi e della tristezza

Stefano e Cristian, quando il mondo non è pronto a un addio così precoce

Troppo presto. Modalità diverse, tragedie differenti, il fattore comune delle precocità. A 35 anni non si muore, neanche a 40 si muore. Eppure succede, risucchiati dalla fatalità o da buchi neri di cui è complicato capire la profondità.
Le parole si sono perse nell’abisso dei perché senza risposta quando Galatina ha appreso dell’addio al mondo di Stefano; sono già amaro rigurgito nel saluto che oggi Nardò darà a Cristian stroncato da un’emorragia cerebrale.
Andare a ritroso nei giorni, nei mesi e negli anni, è un percorso straziante alla ricerca di una spiegazione a quello che non riusciamo a comprendere. Ma, mentre i “se” provano a trasformarsi in preghiera per consolarci davanti all’insondabile, la riflessione che forse ci dovrebbe accompagnare nel trasportare i macigni di questi momenti è sul tempo che spesso perdiamo dietro le futilità.
Presi dai doveri o semplicemente dalla frenesia di una vita che dobbiamo necessariamente riempire per sentirne il valore, non ci accorgiamo di come tutto possa finire in un attimo e di quante cose lasciamo indietro, rinunciando alla bellezza di un istante, pensando che domani sarà comunque possibile.
Domani è polvere. Diciamoci oggi che ci vogliamo bene, andiamo oggi a trovare qualcuno a cui stiamo pensando, telefoniamo oggi a un parente che sentiamo solo a Natale. E guardiamoci negli occhi tutte le volte che ne abbiamo l’occasione, non fermiamoci all’apparenza o agli schermi degli smartphone. Scaviamo nel cuore senza paura per essere presenza reale.
Una malattia del corpo o dell’anima può in ogni momento mettere in subbuglio progetti e visioni, cambiare le carte in tavola e stroncare ogni forza avuta fino a quel momento, ogni caparbietà di resistere.
Stefano e Cristian probabilmente neanche si conoscevano, ma entrambi hanno tentato di tener testa, ognuno a suo modo, al proprio drago, usando le armi del lavoro, dell’arte, dei viaggi, della passione.
Il pianto di un’intera generazione che oggi non si dà pace nel distacco da due coetanei tanto amati e tenaci, si trasformi ogni giorno in un ricordo sincero e vivo. Perché a 35 anni non si muore, neanche a 40 si muore. In chi li penserà sempre, per sempre saranno lì, eternamente sorridenti.