Se il coronavirus avesse bisogno di un’immagine per essere raccontato, oltre a quella di mascherine e disinfettanti, forse sarebbe un caffè al bar senza il vociare di chi ha fretta di scappare in ufficio e senza le risate chiassose dei ragazzi che escogitano il modo migliore di saltare la prima ora di lezione. Tra tutti i quadri a tinte grigie che questo periodo di emergenza ci sta costringendo a guardare, quello del caffè mattutino in una strana solitudine è probabilmente quello che può racchiudere gli aspetti di tutti gli altri e ci consegna la parola che più di altre ci sta accompagnando in questi giorni: senza.
Siamo senza certezze, in primis. Il domani è dilatato e si vive più che mai alla giornata, confidando in chi sta cercando la soluzione più adatta ad affrontare la crisi, ma di fatto non sapendo cosa aspettarsi.
Abbiamo perso le nostre abitudini o quanto meno le stiamo modificando con grosse difficoltà. Siamo senza cinema e senza teatro, siamo senza lo sport a pieno regime, senza eventi, senza momenti di aggregazione, senza calorose riunioni di famiglia, senza feste. Insomma, siamo senza svago.
C’è però un “senza” a cui dobbiamo tendere: essere senza paura. Lasciarsi andare allo sconforto ci rende più vulnerabili, abbassa le nostre difese immunitarie, quindi il buonumore diventa un’arma pacifica a portata di tutti. Non ci è stato consigliato di smettere di vivere, ma di fare attenzione. A chi è in salute è richiesto solo questo. Rispettare le direttive ministeriali è un aiuto concreto al contenimento di questa macchia d’olio che si sta allargando, ma l’orecchio deve essere teso anche ai tanti casi che si stanno risolvendo.
Non c’è da sottovalutare il pericolo, ma la fiducia in chi sta lavorando forsennatamente per gestire tutto al meglio deve essere uno sprone a non abbattersi. Rispettiamo noi stessi e rispettiamo gli altri al massimo delle nostre possibilità. L’ironia che sta viaggiando sui social e sui gruppi whatsapp è un toccasana per smorzare la tensione, ma ricordiamoci sempre di chi non sta in forma, di chi è già debole per altre patologie e di chi ha già contratto il covid 19 ritrovandosi in un attimo catapultato nell’oblio del non sapere cosa fare.
Ci auguriamo che lo Stato trovi un sostegno concreto per le attività che stanno rallentando forzatamente il proprio operato e per tutte le famiglie che si ritrovano a gestire i figli a casa, cercando di conciliare la chiusura delle scuole con la necessità di dover continuare a lavorare.
Ma soprattutto la speranza è che la risoluzione del problema non sia poi così lontana. La medicina, con tutte le sue donne e tutti i suoi uomini, si sta occupando di ogni aspetto legato al coronavirus in cui può intervenire con intelletto, competenze e abilità.
Oggi ci mancano gli abbracci, ci manca il contatto fisico che tanto caratterizza il modo di fare di noi “gente di cuore” meridionale. Allora facciamo tesoro di questa mancanza per dare ancora più valore ai rapporti umani, alle amicizie, all’amore troppo spesso dati per scontati. Prendiamoci cura di loro sfruttando per una volta in modo sano la tecnologia che accorcia incredibilmente le distanze.
E se ci capiterà di incontrarci, lasciamo che gli occhi si tocchino in uno sguardo esplicativo. O meglio ancora, diciamoci che ci vogliamo bene e che passerà.