Di una saracinesca abbassata che torni ad aprirsi. Di una appena aperta che rimanga così il più a lungo possibile. Di un'ansia che sparisca, di una gioia che ripaghi, di un domani più colorato. E che non sia troppo domani. Viviamo come se il nostro posto fosse in fila, con tanto di numerino stretto in mano, mentre guardiamo nervosamente l'orologio. Siamo in attesa che allo sportello del sorriso arrivi finalmente il nostro turno. Si desiderano carezze, ma i ceffoni che scuotono le nostre giornate non sembrano lasciare spazio alla dolcezza. E così non ci ritagliamo un angolo nemmeno per sognare. Niente concretezza, niente vita: il nuovo diktat che ci imponiamo, pur non credendo che questa sia la strada giusta.
Ecco allora che siamo davvero in attesa. Anche nella frenesia del fare, anche nelle nostre chiare dimostrazioni di freddezza e di egoismo. In attesa che cambi. Il periodo, gravoso di impossibilità. Il vento della crisi che ci spinge in un'unica direzione, quella delle lamentele, del sacrificio fino all'osso, delle notti insonni. In attesa di poter pensare finalmente alla semplicità, a quelle piccole cose che diamo così tanto per scontate che ormai si stanno estinguendo. E quando proprio non saremo più capaci di vederne nemmeno l'ombra, ci ritroveremo a essere deserto. E a farci piacere il sapore della sabbia in bocca.
Siamo in attesa. Di un bimbo che nasce ancora una volta. Nella povertà, senza paura del freddo. Sa come scaldarsi. Ci sono braccia pronte a tenerlo sul petto che pulsa di felicità mai urlate. Un bimbo che ci promette speranza, chiedendoci fede, senza mostrare stanchezza davanti alla nostra arrendevolezza, ai nostri sguardi distratti o alle debolezze che ci costringono ad alzare scudi, a sospettare, a fuggire. Siamo in attesa di quella speranza.