Di quelle notti in cui prenderesti tra le mani il volto di chi hai accanto per rubargli un bacio, anche senza conoscerlo. E magari una promessa: che non sia l’ultima volta che si esulta così, così da italiani, così da popolo sorridente, così da araba fenice che ha sempre ceneri da cui rinascere.
È una di quelle, di quelle notti lì, così rare e così meravigliose.
L’Italia campione d’Europa ha guadagnato sul campo un trofeo che mancava da più di cinquant’anni dalle nostre bacheche, ma ha conquistato nelle piazze quell’unità che siamo capaci di trovare solo nelle grandi occasioni, siano esse devastanti, come la pandemia, o magiche come la vittoria nello sport più amato.
E anche Galatina ha dato libero sfogo ai desideri sopiti, approfittando di questo grande evento sigillato a Wembley per vivere il Capodanno che non c’è stato, i festeggiamenti rimandati, gli abbracci agognati.
Piazza S. Pietro e Piazza Alighieri hanno raccolto una folla incredibile di tricolori che fino almeno alle tre hanno sventolato tenendo il tempo dei cori di chi ha scelto il centro della città per far sì che una notte senza precendenti potesse durare il più a lungo possibile.
“Elisabetta non ci inchiniamo” è l’ironico diktat di uno striscione che avvolge l’installazione luminosa davanti alla Chiesa Madre, mentre manifesti listati a lutto condannano scherzosamente l’Inghilterra al suo secondo posto senza mezzi termini.
In questo quadro si fa fatica a non guardare oltre. Oltre le scelte sempre azzeccate di Mancini, oltre le mani a ventosa di Donnarumma o il muro di Chiellini, il sacrificio di Emerson o l’incredulità di Barella; oltre quella “cattedrale” che è stato Chiesa, oltre l’aplomb del presidente Mattarella sugli spalti, oltre Vialli emozionato, c’è un’Italia intera che ha urlato “Spina, Spina”, prendendo sulle spalle un fantastico Spinazzola che ha finito il torneo in anticipo per un infortunio, buttado via le stampelle e confermando l’importanza del gruppo e dell’umanità prima di tutto il resto.
E c’è l’umiltà che ha sempre spinto questi giovani calciatori a pescare dal cilindro il divertimento sopra ogni cosa, per stare bene loro e far stare bene un Paese affamato di sorrisi.
L’Italia campione d’Europa diventa un simbolo di caparbietà. Perché crederci fino in fondo è ciò che può farci sentire vivi anche davanti alle scalate più impervie.
Ci abbiamo creduto, davvero fino in fondo. Allora quel bacio rubato è più che mai meritato.