"Galatina dell’umile gente"

Don Salvatore Bello, la fede nella poesia

"Galatina dell’umile gente"

La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l'ultima parola che l'intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”. Questa frase del sacerdote e teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, posta ad esergo della raccolta di versi “DI GIORNO IN GIORNO” è una linea guida nella lettura della poesia di don Salvatore Bello.
Fuori da ogni consuetudine interpretativa la bellezza è nel vero e nel bene. 
La poesia di don Salvatore Bello esprime, come tracce ritrovate nel suo percorso umano e di fede, tutto il vero e il bene che la sua dimensione di uomo ha potuto cogliere.
Di giorno in giorno/ correndo il rischio di stonare/ io canto/ a voce sommessa/ questo mio mite Salento/ Galatina dell’umile gente/ le sue gemme/ adombrate/ e terre al sole/ superbo/ onnipresente.
(“Di giorno in giorno” – ed. Il Campanile – 1997)
La sua è stata una missione intensa, dedicata a generare ekklēsía, luogo di incontro che è luogo di ascolto. L’esperienza di una vita che diventa un progetto di formazione destinato a creare comunità e farne un racconto. Don Salvatore è stato capace di dare forma alla preghiera, intesa come incontro, e porre il Vangelo nelle mani dei giovani perché ne facessero un uso fecondo.
Non sempre ha trovato unanimità di giudizio in una comunità cittadina educata all’obbedienza in una “fede silenziosa e recitata”. Essere sacerdoti “oltre la preghiera” espone al giudizio degli uomini come se quel giudizio fosse l’Ultimo. Sono le regole della miseria umana, ma anche i momenti di svolta delle comunità.
La sua “comunione poetica” con Lucio Romano la dice lunga sulla dimensione sociale del suo impegno. Due uomini ancorati alla natura dell’uomo e ai suoi bisogni, stretti in dialogo continuo attraverso la poesia.
Il minimo “sostare nella vita”, sia essa persone o luoghi, lasciava sfogo al racconto, come se il desiderio di dare voce a quegli incontri dovesse essere, prima di ogni cosa, una testimonianza da lasciare ai posteri.
La poesia di don Salvatore Bello si crea nella immediatezza della visita alla vita. Incontri con i volti dei suoi concittadini, con la memoria dell’infanzia, con i luoghi della storia, con i timbri a fuoco che il dolore lascia nel suo alternarsi.
Nella quotidianità della sua funzione sacerdotale, l’aspetto dell’opera concreta sapeva sfumare nella riflessione intima.
C’è quasi un destino narrativo nella sua parabola terrena, capace di compiersi nelle opere e nei pensieri con forme e stili diversi, entrambi proficui, entrambi diretti alla sua comunità di giovani, donne e uomini, artigiani dei mestieri e dei pensieri.
L’attività poetica di don Salvatore Bello ha avuto letture critiche di assoluta levatura.
Di lui hanno scritto Aldo Vallone, Mario Marti, Mons. Antonio Antonaci, Gino Pisanò, Aldo Bello.
Leggendo ognuno di tali scritti critici si coglie la complessità dello stile, ma anche la capacità di adattare la lingua al messaggio poetico. La formazione teologica, la cultura umanistica e la lingua parlata diventano, nei versi di don Salvatore, un unico strumento di racconto del “bene” che si manifesta ai suoi occhi. Ed è “bene” il luogo perduto e ritrovato, la memoria dell’infanzia, gli amici diventati orizzonte, gli scorci di luci improvvise che sono grida di armonie perdute.
Tutto si anima nella poesia. Nel verso tutto diventa “vero” e tangibile, ma anche discosto e immaginato.
Potrei essere in errore ma ritengo che la poesia abbia alimentato la fede in don Salvatore Bello.

Parola, non ti chiedo/ d’umiliarti, strisciarmi ai piedi,/ sta, e io ti lascio, al tuo posto di nobiltà,/ al senso, alla misura che ti sei/ nel tempo e contro il tempo conquistati;/ se da te saprò trarre immagine o pensiero,/ ala dopo ala decolleremo/ in una zolla minuscola di cielo/ intorno a noi di grazia, di mistero.
(da Terra, e Madre ed. Il Campanile – 2003)

Si è spenta l’ultima delle nobili voci che la poesia Galatinese abbia espresso e che uniamo a quelle di Giovanni Francesco Romano, Donato Moro, Lucio Romano.
Alla nostra comunità il compito di apprendere la loro lezione e tenere viva la loro poesia.
Concludo citando David Maria Turoldo, un altro sacerdote e poeta, i cui versi penso siano un richiamo ulteriore alla possibilità che la poesia, l’essenza delle cose che si impossessa dell’essenza delle persone, possa essere stata uno strumento di fede anche per don Salvatore. 

Respirare è respirarti/ Vivere è rivelarti/ Amare è amarti…/ Pur certo che senza di te/ anche peccare mi è negato.
(da “Canti ultimi”  Garzanti - Ultime poesie – 2002)