"Per raggiungervi dobbiamo prendere anche noi una Bussola e un Aquilone"

"Per raggiungervi dobbiamo prendere anche noi una Bussola e un Aquilone"

Non so se la percezione è solo mia, anzi direi che certamente non è solo mia. Lo era, per me… la percezione della diversabilità come un mondo di dolore, di esclusione, di solitudine. Del resto, una cosa è affermare principi generali del tipo “siamo tutti uguali, abbiamo tutti gli stessi diritti”- principi che non puoi non dichiarare a meno di voler essere additato come un sopravvissuto di altri mondi, eppure, sotto sotto, ma chi se lo sceglierebbe un disabile in famiglia?- una cosa averci a che fare, con la disabilità. E’ ovvio e banale dire di riconoscere quei principi generali che sembrano tante belle parole, ma non è che a furia di ripeterle queste parole, diventano vere, vere cioè nella vita tua, di tutti i giorni.  La disabilità è una cosa che teoricamente esiste, ma se non mi tocca è meglio. Perché …. poveretti, che pena, che male hanno fatto, perché non sono come noi? E che fatica, dovergli stare dietro e non poter fare quello che vorresti….!

Poi ti capita di conoscerli da vicino. Non di guardarli un attimo girando subito gli occhi dall’altra parte. Proprio da vicino. Per poco, qualche ora, mica una vita! Ti capita di ritagliarti una mattina con loro, perché te lo chiede qualcuno, perché si presenta l’occasione e magari pare brutto dire no…. E in quelle tre ore ti capita di prenderli per mano, o che loro prendano per mano te, ti capita di guardarli negli occhi, di starci spalla a spalla, di rotolare anzi spalla a spalla, di giocare al re e alla regina, di prendere una stella e lanciare il cuore all’infinito.

Non sapevo di poterlo fare, prima che loro me lo mostrassero. Loro, i Ragazzi  dell’Aquilone e della Bussola. Non sapevo che basta essere fermi, congelati, con il cuore sul petto per essere extra-ordinari. E non sapevo nemmeno che la mia ordinarietà è quella di tutti e che la mia “normalità” non ha niente di invidiabile a chi è abituato a questa extra-ordinarietà.
Non sapevo che dimensioni potesse avere il mio cuore, prima…
Potrei correre e scalare montagne, comprendere i concetti più astrusi, possedere tutte le parole del vocabolario, anche sette lingue, potrei …tutto potrei, ma non ce l’ho, non lo faccio, forse non lo farò mai… E allora, che importa? Nemmeno loro possono, o potrebbero… Sono forse disabile io per questo? A ben pensarci, lo scalatore che mi dovesse incontrare su un sentiero di montagna, lo scienziato  che mi vedesse fare un calcolo stentato, uno straniero che mi sentisse pronunciare qualche parola nella sua lingua... potrebbero anche non considerarmi quel vaso di meravigliose possibilità che io mi immagino di essere. E mi dispiacerebbe che lo facesse, perché io meravigliosa lo sono davvero.

Sarà questione di punti di vista? Mi viene proprio il dubbio che sia così. Perché mentre io, che ho un corpo perfetto e una mente agile e pronta, all’inizio di queste tre ore sottratte alla routine mi muovo con difficoltà e imbarazzo incontro all’altro, quell’altro, il disabile, sta lì, mi viene incontro, mi incoraggia, il suo sorriso mi raggiunge prima che io riesca a nascondere la mia complessiva incapacità e piano piano comincia a sgretolarla…. mi viene incontro senza necessariamente muoversi, e mi porta con pazienza, con tenerezza, con competenza, al di là delle mie barriere. Laddove io vedo lentezza e disordine lui vede delicatezza e spontaneità, dove io vedo imbarazzo e costrizione lui sente il piacere di stare insieme. E mi trovo d’improvviso a invidiare quella capacità assoluta di essere felici che i ragazzi dell’Aquilone e della Bussola  hanno scelto di condividere proprio con me! Allora li guardo, straordinari in mezzo a gente che ha pensieri ed emozioni simili ai miei, lo so, lo vedo, li guardo così perfettamente a loro agio, così perfettamente felici, così perfettamente pieni di vita e mi accorgo, con tutte le mie normali perfezioni, di non aver capito niente della vita… Mi accorgo di quanto sono lontana da loro, di quanta strada devo ancora fare per avvicinarmi solo un po’ a quella pienezza di generosità che ancora tre ore prima non riuscivo a scorgere.  Mi vedo per un attimo con i loro occhi: sola, in un mondo di dolore e incertezze, esclusa per mia stessa volontà da tanta bellezza e tanto amore che pur c’è intorno a me. Lo so, non è sempre così, non è che d’un tratto la disabilità è tutta rose e fiori, prova tu ad essere diversabile in una società limitata ad una sola possibilità di essere dell’ essere umano. Ma piano piano impareremo, impareremo ad essere una comunità e saremo migliori di adesso.

Aspettateci, ragazzi, per raggiungervi dobbiamo prendere anche noi una Bussola e un Aquilone!

(dal diario di un’insegnante, a margine dell’Incontro di Community dance, nella e con la scuola. I ragazzi dei centri diurni L’aquilone e La bussola incontrano gli studenti dell’IISS N. Moccia di Nardò)