Riceviamo e volentieri pubblichiamo un intervento di Antonio Marra, ex-cancelliere:
"Nelle mie ormai pluriennali elucubrazioni sulla crisi dei sistemi democratici sono alfine giunto alle seguenti conclusioni:
1. Tutti sappiamo che etimologicamente la parola democrazia significa "potere del popolo". Dunque, quando essa entra in crisi vuol dire semplicemente che, almeno in parte, il potere, nella sua sostanza, non appartiene più al popolo "sovrano" (art. 1 Cost.) E se non appartiene al popolo vuol dire che altri, abusandone, se ne sono impossessati. Hanno, in tutto o in parte, occupato abusivamente la casa del popolo, con scarsissime possibilità di esserne sfrattati, anche perché il popolo, per motivi che qui non è il caso di approfondire, non reagisce. Così la situazione s'incancrenisce sempre più e si estende pervadendo l'intero corpo sociale, fino all'irreparabile.
2. Che cosa fare per evitare che ciò accada? La soluzione ideale sarebbe quella di passare dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta, la cui attuazione non sarebbe peraltro impossibile, alla luce degli enormi progressi oggi raggiunti dal sistema di comunicazione digitale. Nell'attesa, tuttavia, come in materia sanitaria, la miglior medicina è la prevenzione. Bisogna, cioè, indurre e favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese attraverso l'educazione familiare e, soprattutto, scolastica. Peraltro, anche questo rimedio è difficile da attuare, sia per le prevedibili resistenze da parte degli attuali detentori del potere,sia per l'assenza della previsione della facoltà del popolo di proporre e portare a termine direttamente le leggi. Non resterebbe, dunque, che por mano ad una profonda riforma della legislazione vigente, a partire dalla Costituzione, ed in particolare dall'art. 49, il quale stabilisce il diritto di tutti i cittadini "di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
Questo diritto è un pilastro fondamentale della democrazia, poiché garantisce il pluralismo e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. La norma pone tuttavia una condizione che riguarda il "metodo" da perseguire nell'esercizio di questo diritto. Metodo che dev'essere "democratico", come il confronto politico e, conseguentemente, il voto. I partiti politici, dunque, come espressione del diritto di associazione, sono alla base del pluralismo politico.
L'art. 49 va peraltro integrato con l'art. 18 che regola più in generale la libertà di associazione, prevedendo il divieto di formare partiti segreti o di tipo militare. Nella pratica, tuttavia, questa normativa presenta alcune criticità che ne minano l'efficacia. La prima è costituita dalla mancata previsione di sanzioni severe di rango costituzionale, soprattutto in considerazione del fatto che l'eventuale violazione va ad incidere su un bene - la democrazia - che riveste basilare importanza per il corretto funzionamento di tutte le sovrastrutture finalizzate a rendere, per l'appunto, "democratico" il governo del Paese. La seconda è costituita dall'assenza di una regolamentazione, anch'essa di rango costituzionale, più completa, che detti i requisiti essenziali cui devono rispondere tutti gli strumenti statutari e regolamentari su cui deve reggersi la vita dei costituendi partiti. La conseguenza di detta assenza sortisce l'effetto di far sì che la regolamentazione della materia sia demandata ad un regime di natura privatistica, qual'é quello dell'attuale disciplina dei partiti politici, la quale mal si concilia con l'enorme pregnanza pubblica che, invece, il loro operare riveste rispetto all'oggetto ed alle finalità della loro azione, consistenti, per l'appunto, nel "concorrere a determinare la politica nazionale".
Crisi della democrazia. Rimedi
