Dicono che la morte non sia una fine, ma un passaggio. Una porta socchiusa: di là c’è chi è andato avanti, di qua restiamo noi, con il rumore dei passi che ancora risuona nella memoria.
Ecco, oggi il suono è quello di una fisarmonica. Di lui resteranno immagini nitidissime: occhi azzurri che raccontavano le emozioni meglio di qualunque parola, classe elegante anche senza volerlo, presenza impossibile da confondere in una stanza.
Di lui resteranno le sue note, le mani che facevano musica anche solo appoggiate su un tavolo, le risate fragorose, la voce che si accendeva nelle discussioni e si scioglieva subito dopo. Resterà quel modo tutto suo di tornare bambino davanti ai bambini, strimpellando per farli ridere, perché con loro era impossibile non vedere il colore anche nella giornata più nera.
Di lui resterà il profumo buono di quel fazzoletto da taschino pronto a essere offerto a chiunque ne avesse bisogno.
E poi quel nome: Anacleto. Così raro, così regale, così difficile da pronunciare per noi piccoli di casa da rendere obbligato un nuovo battesimo. Lui era solo Eco. Zio Eco. Nonno Eco.
Un avvocato vero: testa dura, parole appuntite, ragione da vendere (anche quando non ne aveva), discussioni che finivano in risate. La musica non era un hobby ma un modo di stare al mondo.
Anche quando la vita ha cominciato a confondere i ricordi, quando alcuni nomi sfumavano e i giorni si somigliavano tutti, la musica era rimasta un punto fermo. Quella fisarmonica una porta certa, l’unica che si sarebbe aperta sempre, amica fidata, compagna di tutto il cammino. Perché certe cose nessuna malattia riesce a portarle via, e certe dita ricordano da sole come muoversi per suonare la felicità.
Un uomo imperfetto come tutti, ma autentico come pochi.
Ha amato i suoi tre figli con un orgoglio che non sapeva nascondere. Ha discusso, ha litigato, ha riso forte. Ha saputo essere duro e generoso insieme. Generoso in una maniera che non finiva mai di stupire. Non era un soprannome: era la definizione perfetta. Perché ciò che lascia è proprio questo: un’eco. Di risate a tavola, di mani che suonano, di camicie stirate e profumo buono, di discussioni infuocate e pace subito dopo, dei suoi occhi azzurri che ritrovano i nostri ogni volta che pensiamo a lui, di un amore che non ha bisogno di spiegazioni.
E forse il modo più giusto per salutarlo è continuare ad ascoltare, nella mente, quella musica. Perché l’eco resta. E a un certo punto, inevitabilmente, ritorna.
L’eco che resta