Un virus che non ha pietà

La drammatica e toccante testimonianza di un professionista galatinese che per due mesi ha sofferto e lottato contro il covid-19

Un virus che non ha pietà

“Amore, credo di avere la febbre…” E’ cominciato così il mio incubo e la mia lotta con il coronavirus e sono durati oltre due mesi. Una febbre strana, diversa da quelle che solitamente capitano agli uomini, quelle fatte di dolori muscolari al primo decimo. Una febbre che ti brucia dentro e ti spezza, ti debilita, ti stanca, ti rende inerte ri- spetto a qualsiasi stimolo vitale; perchè il virus non ha pietà, crea il caos e prende tutti gli organi. Il corpo cerca di reagire, ma non riconoscendo il nemico risponde in maniera disordinata. I medici, ho imparato successivamente, la chiamano “tempesta di citochine” e contribuisce a distruggerti … subdolo il maledetto, semina il panico nel tuo esercito immunitario trasformandolo in un suo alleato… una guerra interna che ti consuma come un cerino… la scommessa è riuscire a non spegnersi, ..magari per mancanza di ossigeno, trombosi o qualche altro disastro. E così rimani angosciosamente sospeso tra speranza e preoccupazione, tra fiducia e paura. Tanta paura, quella che cerchi di mascherare soprattutto a chi ti vuole bene e magari dovresti proteggere: “..vado in ospedale per dei controlli, mi raccomando non fate arrabbiare la mamma…” ... “va bene,.. ciao papà..”. E poi solo il tonfo cupo della portiera dell’ambulanza che ti chiude al mondo. Da quel momento sei solo. E ti ritrovi in un letto d’ospedale a cercare Dio tra il rumore dell’ossigeno ed il silenzio di chi si trova nella tua stessa condizione o magari peggio; tra una luce che proprio non riesci a vedere in fondo al tunnel ed i neon del pronto soccorso accesi anche di notte. E mentre le crisi respiratorie diventano sempre più frequenti e ti rubano fino al 60% dell’ossigeno, l’angelo del Signore si avvicina a te ed ha il volto coperto dai dispositivi di protezione e la voce calma e assertiva di un medico che ti chiede il consenso per una terapia sperimentale dicendoti: “..hai le caratteristiche adatte”. Bisogna saper riconoscere Dio, ...e dirgli di si. Ed eccomi qui a scrivere queste poche righe, dopo un lungo e sofferto percorso ospedaliero e di qua- rantena, che ti devasta fisicamente e mentalmente e che ti segna nell’anima, che ti ricorda quanto siamo fragili e quanto dovremmo saperci amare l’un l’altro piuttosto che combatterci. Perché al di là di tutto quello che più riscopri dopo tanta paura e sofferenza è il valore dell’amore, quell’amore che dopo due mesi di naufragio leggi su di una vela bianca con al centro disegnato un cuore e l’arcobaleno ed è tenuta dalle tue bambine. Quell’amore che rivedi negli occhi e nel sorriso di tua moglie quando aprendo la porta della camera lo incroci dopo avergli detto: “...sono negativo Amore..!”