Un privilegio straordinario

Un privilegio straordinario

Non ricordo più chi per primo uscì dal finestrino di quella GIULIA Ti 1300 rovesciata in mezzo ad un campo incolto che aveva attraversato per centinaia di metri prima di rovesciarsi. Fatto sta che io e quel mio amico di none “Gino”, che tra l’altro guidava, un po’ spaventati e un po’ ammaccati ma vivi, uscimmo da quella macchina distrutta che andò a finire direttamente alla demolizione.
Era un lunedì in Albis di tanti anni fa, di pomeriggio tornavamo da Otranto dove ci eravamo incontrati con altri amici, quando improvvisamente si andò a finire fuori strada. Mi trovai con una sola scarpa, l’orologio che mi si era sfilato e i pantaloni bianchi che avevano cambiato colore. Si fermò tanta gente preoccupata per noi ed era verso l’imbrunire quando una famiglia del nostro paese, ci lasciò davanti al BAR del Rione Italia, mentre gruppi di amici e conoscenti, già commentavano il fatto.
Quel mio amico corse subito a casa e altrettanto feci io.  Andai a casa di mia nonna dove c’era anche mia madre e altri parenti. Sarà stato per il color bianco cadaverico che mi era venuto o per tutto il resto, ma mia madre appena mi vide mi chiese:  - “che è successo?”niente – risposi tranquillizzandola – ci siamo divertiti, abbiamo giocato in spiaggia e ci siamo un po’ stancati ".
Mia madre lo venne a sapere comunque e non vi dico la paura e la preoccupazione nei giorni che seguirono quando sapeva che andavo da qualche parte con la macchina di qualcuno, perché io non avevo ancora la patente. Quel mio amico dell’incidente “Gino”, che ricordo lavorava come imbianchino, andò a piedi per tantissimo tempo e quando finalmente arrivò con la macchina davanti al solito BAR, arrivò con una 500 color grigio topo di seconda mano, in pessime condizioni.
Mia madre poverina, andò ripetutamente in Chiesa a ringraziare Dio per il “miracolo” e qualche volta la seguii pure io che già nell’Oratorio trascorrevo gran parte del pomeriggio e della sera, tra biliardo, biliardino, ping-pong e prove generali per diventare un giorno “chierichetto”.
Malgrado le insistenze di Padre Campanella fui sempre un chierichetto di second’ordine, servivo sempre la “funzione”della sera, quattro persone mia nonna e mia zia in prima fila. Non servì mai la messa della domenica, con quella Chiesa strapiena di gente e con tantissime persone in piedi perché non c’erano più posti a sedere. Non lo volli mai fare, fu una cosa più forte di me, fui sempre vinto dalla “vergogna” e dalla paura di sbagliare o andare fuori tempo in qualche passaggio della Santa Messa. Fu la mia guerra interiore per molto tempo, fu una guerra che io persi. Guardavo i miei colleghi “chierichetti” che già lo facevano con invidia, avrei voluto farmi vedere da amici e parenti ma fui sempre sconfitto dalla paura. Col tempo passò tutto, intanto in Chiesa mi facevo vedere sempre meno, poi solo la domenica, poi neanche la domenica.
Conservo gelosamente tutti gli insegnamenti avuti, conservo quei ricordi, quell’odore di incenso, ma la cosa più bella che ricordo è il suono della campane e quelle canzoni di Natale che partivano dalla Chiesa verso le 2 e mezza del pomeriggio per annunciare l’inizio della “novena” e noi a correre subito in Chiesa. 
Quel “tu scendi dalle stelle”  suonato a così alto volume da farlo sentire in tutto il Rione Italia e quelle altre canzoni natalizie, mi davano gioia, mi annunciavano le Festività e l’arrivo delle vacanze. Diffondevano un’atmosfera che non c’è più, fatta di odori, di sapori, di preparativi. Di cose semplici e belle, di parenti che arrivavano da fuori, di treni strapieni, di tanta buona cioccolata e di tanti pacchetti di sigarette “parisienne” che mio padre, di solito fumatore senza filtro, gradiva particolarmente. Altri tempi, altri momenti.  La cosa che mi tormenta è che non torneranno più, che non potranno  essere più rivissuti, perché vi assicuro che raccontarli “può dare solo l’idea”, viverli è stata tutta un’altra storia. È stato un privilegio straordinario, una fortuna, un regalo.