Premetto di non essere mai stato un grande sportivo. Mai stato quindi un tifoso viscerale: seguo poco o nulla il calcio, se non per patrio orgoglio, durante i mondiali. Sabato scorso mi sono imbattuto, durante una sessione su internet, nel video che immortalava, a imperitura memoria, le immagini dell'addio di Francesco Totti al calcio giocato, allo stadio Olimpico.
Ebbene, mi si è offerto, grazie a quelle immagini, uno spunto di riflessione inedito. L'epica immagine rimandata dallo schermo era entusiasmante, la semplicitá e la veritá di cio che mi si palesava mi ha fatto rabbrividire, disabituato oramai a coglierne traccia in giro. L'atleta salutava leggendo, con un foglio di carta tra le mani. Il discorso era semplice, banalissimo, di scolastica fattura ma non era quello che lui diceva che eccitava la folla, bensí quello che per tutta la sua carriera sportiva aveva fatto, i risultati ottenuti e tutti quegli esaltanti termini calcistici che non conosco ma che vedo avere molta presa tra gli appassionati.
Sono sempre stato, per estrazione, formazione, passione personale un cultore della parola, o almeno ci provo. Ho sempre amato le conversazioni fluide, ben costruite e ricche di richiami. Ma di fronte a tanta disarmante semplicitá lessicale, che abbandona il valore della parola ma descrive la concretezza dei fatti, ho guardato alle cose della vita con una chiave differente.
Totti ha fatto tanto, per se stesso certamente, guadagnando una quantitá di denaro inenarrabile, ma facendone ricavare altrettanto al circuito calcistico e all'indotto della sua societá di appartenenza. Ha insegnato a più di una generazione i valori e la coralitá che lo sport trasmette. Non è mai stato sopra le righe, ha vissuto e vive la sua preziosa e mediatica esistenza con la semplicitá disarmante di chi è nato per fare quel mestiere e nessun altro. Ha saputo, e solo chi é dotato di grande personalitá puo farlo, trasformare il suo lessico povero e sincero, i suoi strafalcioni verbali in un punto di favore per sè e per chi, e sono tanti, si riconosce in lui.
Ebbene, in un periodo storico in cui si dá molto valore a ciò che si dice e a ciò che gli altri non fanno, probabilmente dovrei guardare alle parole semplici con un occhio meno critico, più dolce e discreto, perché forse chi pensa a fare, poco pensa a come raccontarlo agli altri. Sicuramente la mia totale ignoranza calcistica mi ha portato a guardare il lato del campione a me più comodo, quello che si prestava al mio risultato e ne nascondeva, ai miei occhi, il suo. La definizione veniva da sé. L'ignorante che non sa parlare e tira calci ad un pallone! Ma mi chiedo: sarò forse ignorante io, a non vedere? Domanda più che lecita. A non vedere quello che l'uomo aveva regalato a chi, da quella conoscenza calcistica, trae quotidiano piacere? Sará stata la mia presunzione a chiudermi lo sguardo sul suo successo? Tutti dilemmi che proverò a risolvere, magari con qualcuno che parla peggio di me, ma che fa tanti goal.