Alla professoressa Miriam Dell'Avvocata

Liceo Colonna Galatina

Si dice che servano dai sei ai ventiquattro mesi per elaborare e, infine, accettare un lutto. Onestamente credo sia una delle più grandi idiozie che siano mai state partorite dalla mente umana, forse nell’illusione di poter arginare un dolore che altrimenti si sa essere destinato a durare per sempre. Come si può, infatti, dimenticare una persona con cui si è condivisa tanta vita?
Il dolore e la rabbia rimangono sempre vivi e azzannano l’anima, mentre un sentimento di profonda impotenza si insinua nelle sue ferite. Ci si riprenderà mai davvero? O semplicemente si continuerà a camminare per inerzia, ignorando lo stillicidio dell’ennesimo buco sul cuore? Non si è mai pronti a dire addio e mai come adesso, professoressa, avrei bisogno di Lei. Le chiederei di spiegarmi il perché, se un perché c’è. E soprattutto le chiederei come fare a vivere una vita che ad ogni passo ci ricorda quanto siamo transeunti.
Sa, professoressa, che ogni tanto mi sembra ancora di vederla in piedi, appoggiata alla cattedra, mentre con una mano tiene stretto il libro al petto e con l’altra tortura una delle sue coloratissime collane? Mi sembra ancora di sentirla mentre salmodia con voce squillante testi dai significati antichi. Mi sembra ancora di essere lì, in quei giorni che non sapevamo sarebbero diventati così preziosi. Non so cosa darei per tornare indietro, per poterLe parlare ancora una volta.
Avrei voluto che la nostra ultima interazione non fosse un corto e imbarazzato messaggio scritto con l’urgenza di chi è arrivato all’ultimo per i saluti. E mi tormenta il pensiero che, mentre imparavo a prendermi cura della sofferenza altrui, non potevo fare nulla per la Sua.
Avrei voluto avere il tempo e il modo di ricambiare tutto il bene che ha fatto a me e a tutti gli altri ragazzi che hanno avuto la fortuna e il privilegio di avere Lei come compagna fedele e incrollabile durante gli anni della formazione.
Le prometto che le memorie che mi ha donato non cadranno mai nell’oblio, ma che il loro eco mi accompagnerà per sempre, proprio come scriveva Edgar Lee Masters in quel libro che ci aveva tanto raccomandato di leggere.
La prego, professoressa, continui a fare il tifo per me e i miei compagni di classe, ovunque sia.
Una sua alunna

[...]
E tutte le cose son mutate.
E noi – noi, le memorie, ce ne stiamo qui sole,
perché nessun occhio ci vede, né saprebbe perché siamo qui.
Tutto è dimenticato, tranne da noi, le memorie,
che siamo dimenticate dal mondo.
Tutto è mutato, tranne il fiume e la collina...
No, sono mutati anch’essi
Soltanto il sole scottante e le stelle silenziose sono le stesse.
E noi – noi, le memorie, restiamo qui timorose,
con gli occhi chiusi dalla stanchezza di piangere –
nell’infinita stanchezza!
EDITH CONANT, Antologia di Spoon River, E. L. Masters