A meno di un mese dal giorno del voto, la campagna elettorale che stiamo vivendo è e sarà ricordata per molto tempo. Per il suo contesto, nel bel mezzo dell’estate (prima volta) e di una guerra in corso a cui l’Italia, più o meno direttamente, è interessata (anche questa, prima volta); è la compagna elettorale della definitiva consacrazione dei social come efficaci in quanto immediati mezzi di divulgazione di programmi, opinioni, botta e risposta e molto altro.
Se anche Silvio Berlusconi, che con il video inaugurale della famosa “discesa in campo” mutò radicalmente il modo di relazionarsi con le masse creando una nuova strategia comunicativa, approda su TikTok, allora il mondo sta davvero cambiando; non solo, ma la campagna elettorale si trova in balia di un clima caldissimo tra crisi energetica, inflazione galoppante e Pnrr da portare a termine in tempi strettissimi.
Per non dimenticare il sistema elettorale, il marchio o la firma di in un sistema politico che da anni è alla deriva. Questo infatti è il male dei mali perché, se considerato insieme alla riduzione del numero dei parlamentari (Senato da 315 a 200; Camera da 630 a 400), mina dei principi costituzionali alla base del nostro sistema. Innanzitutto quella della rappresentanza in parlamento per i cittadini di alcune regioni italiane. Infatti, partendo dal presupposto che il numero di rappresentanti varia da regione a regione, a rigor di logica le regioni più “grandi” hanno più parlamentari delle regioni più “piccole”. Nel primo caso parliamo per esempio della Lombardia, del Lazio, della nostra Puglia, mentre nel caso contrario regioni come la Basilicata o il Molise, per citarne alcune.
Con la riduzione dei parlamentari la rappresentanza non è garantita in modo equo e uguale per tutte le regioni in quanto, le regioni più “grandi” avranno un numero di rappresentanti di gran lunga superiore alle regioni “piccole”. Si potrebbe obiettare: è sempre stato così, ora, con la riduzione, è solo diminuito il numero dei parlamentari per tutte le regioni, indipendentemente dalla grandezza e, per questo, ogni regione avrà sempre i suoi rappresentanti in parlamento. Vero, ma partendo da una popolazione regionale che è pressoché invariata, le regioni con molti abitanti e quindi “grandi” avranno sempre molti (anche se su questo aggettivo si dovrebbe discutere! Molti secondo chi?) rappresentanti, mentre le regioni con un numero basso ma stabile di abitanti avranno sempre meno rappresentanti se relazionati rischiando così di essere “schiacciate” in parlamento dai grandi della classe.
Un esempio: la Basilicata con una popolazione di 539 999 abitanti, passa da 6 a 4 deputati e da 7 a 3 senatori, praticamente solo 7 parlamentari per la voce di una popolazione superiore a mezzo milione di abitanti! E per non allungare troppo il brodo non consideriamo che i 7 si dovrebbero dividere in base a quanti sono i partiti e cioè una rappresentanza ancora minore.
Un altro principio fortemente minato è quella della sovranità popolare. Noi certo siamo ancora i detentori della sovranità che esercitiamo attraverso il voto, ossia scegliendo i nostri rappresentanti. Ma è proprio qui il problema: siamo davvero noi a scegliere i nostri rappresentanti? Con l’attuale sistema elettorale (misto, ossia per una parte maggioritario, cioè uninominale, e per una proporzionale) nelle due schede elettorali che ci daranno troveremo una lista di nomi collocati alcuni nella casella dell’uninominale e altri accanto ai vari simboli di partiti, che a loro volta si potrebbero trovare all’interno di una coalizione più grande o in una corsa solitaria.
Si potrà porre un segno sul nome del candidato uninominale, ma NON sul nome del candidato nelle liste proporzionali. Tradotto: possiamo “scegliere” il candidato nel sistema maggioritario ma non possiamo scegliere i candidati nel proporzionale, i quali invece potranno essere eletti in base all’ordine in cui sono elencati e perciò i capilista avranno molte più probabilità di essere eletti di tutti gli altri componenti della stessa. Insomma non scegliamo noi i candidati (tranne chi ha fatto scegliere ai suoi iscritti i nomi già scelti da terzi), non possiamo crociare il candidato che preferiamo o scrivere il suo nome pena l’annullamento e per di più i capilista sono con un piede e mezzo in parlamento, ma quindi che votiamo a fare?
Se non sono sovrano di votare il rappresentante che vorrei mi rappresentasse, che rappresentasse il mio territorio, i miei ideali e che portasse i miei problemi in parlamento, a che serve andare a votare? Risposte non ne ho. So solo che votare è importante perché è un dovere civico. E nonostante si avverta una voglia matta di astenersi, complice anche quello che abbiamo detto, non votare è ancora peggio: se già abbiamo poco potere nelle nostre mani, astenersi è arrendersi prima ancora di esprimersi.
Votare nonostante i dubbi
