"Non ci sto"

"Non ci sto"

Caro direttore, la pubblicità sessista va combattuta. Non è possibile che una compagnia telefonica, un prestito in banca, una stampa digitale vengano promosse da una donna seminuda. L’Italia è un paese storicamente sessista: solo nel 1981 sono state abolite le attenuanti per il cosiddetto delitto d’onore. Solo nel 1996 la violenza sessuale è stata riconosciuta come reato contro la persona (in precedenza era classificata come “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume”).  Del femminicidio non parlo nemmeno.
La pubblicità sessista non riguarda solo i corpi nudi. È quella che riduce le donne a pochi stereotipi ricorrenti e poveri: le donne della reclame sono uguali tra loro e misere, sia che siano sorridenti con la zuppiera o il detersivo in mano, sia che siano sexy e seminude. Sono tutte “fatte con lo stampino”.
Gli spazi pubblicitari sono pause in cui la mente del/della passante di turno, telespettatore/ice del caso o udente radiofonico è totalmente rilassata: non rifiuta, non critica, raccoglie tutta l’informazione ascoltando, vedendo e sentendo. Il subconscio, durante questi momenti di relax e indifferenza, è come una spugna che assorbe tutto senza altro filtro o altro limite che non sia la sua immaginazione.
Attualmente la pubblicità ci dà un’immagine della donna sottovalutata e con un’unica missione: sedurre. Il messaggio che ci vogliono trasmettere molti annunci, manifesti e spot è il seguente: sesso come premio per l’acquisto di un prodotto o prestazione di un servizio. L’utilizzo dell’immagine della donna nella pubblicità risponde generalmente a vari archetipi classici: la donna come oggetto del desiderio o nel suo ruolo di donna, madre e casalinga.
La pubblicità di tutti i generi è lo specchio della società in cui viviamo e il riflesso della cultura che abbiamo acquisito durante gli anni. Per questo considero che, per smettere con questa discriminazione sessuale e questa ridicolizzazione verso le donne, dovremmo prima cambiare la forma di pensare della nostra società dal suo punto più manipolabile: la Pubblicità (“sono le idee che muovono le montagne”).
Oggi, quando ho visto la foto allegata a questo piccolo sfogo personale, mi sono indignata. Io non ci sto a far passare il mio corpo come oggetto sessuale. Non ci sto.