Cinque quesiti referendari e nessuno ha raggiunto il quorum necessario per rendere validi i risultati. Un solo vincitore dunque, né il “si” tantomeno il “no”, ma l’astensionismo. L’affluenza alle urne per i quesiti sulla giustizia ha toccato uno dei punti più bassi della nostra storia repubblicana, quasi il 20%.
La democrazia ha un problema si dice. Ed è vero ma non quello che alcuni sbandierano dopo aver incassato la sconfitta, accusando il sistema di sabotaggio, di boicottaggio. Tantomeno esso è legato al sistema in quanto tale, non è legato al funzionamento stesso di questa forma di governo.
Guai a pensare ciò, guai a mettere in discussione questo sistema, fonte di protezione e garanzia dei diritti e delle libertà. Piuttosto il vizio della nostra democrazia sono gli “uomini di democrazia” che la vivono di professione, ossia i nostri rappresentanti, coloro i quali devono portare in Parlamento le istanze del territorio da cui provengono, le esigenze e le problematicità per cui sono stati eletti.
Vero è che non sono legati da alcun vincolo di mandato, ma è ugualmente vero che, se la politica nasce per tutelare il bene comune, non può dimenticare le vere richieste che provengono dal basso e devono essere accolte e tradotte in atti concreti che le riguardano e le risolvono.
Il vizio degli “uomini di democrazia” è quello di essere diventati sordi e ciechi davanti ai reali problemi dei cittadini, e di essere guidati da interessi che la popolazione percepisce lontani dalle proprie problematicità.
Il problema dell’astensionismo nei referendum non è tanto la passività della nostra collettività, che storicamente propende più alla defezione che all’azione, ma è la perdita di interesse verso ciò che viene proposto. I cinque quesisti sulla giustizia mancavano di attrattività. E con ciò non si vuole dire che l’attività politica deve essere paragonata all’arte di saper vendere un prodotto, bensì si vuole sostenere che l’attività politica deve essere attrattiva perché veramente legata ai problemi dei cittadini.
L’attrattività dei quesiti era minima non perché i temi trattati fossero inutili per la vita del sistema, ma perché percepiti come cervellotici, a tratti inutili e lontani dagli interessi della collettività.
Non si possono fare previsioni su quali sarebbero potuti essere i risultati se, oltre ai quesiti sulla giustizia, fossero stati ammessi i quesiti sulla cannabis e sull’eutanasia, ma una riflessione di potrebbe fare.
Per quanto la questione giustizia sia attuale (tanto attuale da avere per 3/5 gli stessi argomenti di un disegno di legge di riforma attualmente in discussione in Parlamento), gli interessi degli italiani parlano chiaro. I referendum che forse più interessavano e attraevano per attualità e forse necessità hanno racconto insieme infatti quasi il doppio delle firme richieste (1,2 milioni circa per l’eutanasia, 630mila circa sulla cannabis che sommati danno quasi 2 milioni di richieste) segno, questo, di reale interesse verso temi e problemi che gli italiani sentono propri.
Nessuno può sapere come sarebbe finita, ma ora ciò che conta è il dato di fatto: l’astensionismo altissimo. Da ciò si dovrebbe ripartire se davvero si vuole mettere in pratica la democrazia. L’auspicio è che la politica sia in grado di cogliere le istanze che provengono dai cittadini, di farle proprie e renderle effettive, che si lasci più spazio ai veri interessi del corpo elettorale. Il monito è che i programmi politici non siano più “calati” dall’alto e accettati passivamente dai cittadini, ma che siano i cittadini a vincolare i rappresentanti alle richieste che vengo dal basso. Che sia anche la strada che guidi i candidati sindaco, la stella polare che indichi il percorso da seguire affinché rappresentanti e rappresentati lavorino per il benessere collettivo.
Cinque quesiti poco attrattivi
