La pergola

La pergola

Quasi tutta la giornata si svolgeva sotto quella pergola, tra la cisterna e l’uscio di casa. Quella pergola che si arrampicava e si stringeva a quei fili di ferro stesi alla meglio e ormai un po’ arrugginiti e che dava tanta ombra, tanto fresco e tanta pace. Da lì si cominciava la giornata ed è lì che finiva dopo aver mangiato qualcosa e non prima di aver raccontato la giornata o aver raccontato fatti, storie o  aver intonato qualche canto popolare.
Non eravamo mai meno di una diecina, venivano dalle campagne vicine e sotto il chiaro di luna si restava seduti a chiacchierare per ore. Quando poi la luna si nascondeva, c’era sempre la luce di un vecchio lume a petrolio che diffondeva  insieme all’odore del petrolio, un po’ di luce.
Tutt’intorno respirava piano la natura e tutte quelle distese di tabacco, di vigna, di grano. Le giornate cominciavano all’alba e all’alba si sentivano passare dalla stradina non ancora asfaltata qualche “sciarabà” qualche bici o qualche motorino.
A pensarci era tutto molto bello e molto poetico, quei silenzi, quella pace, quella miseria erano le vere ricchezze di quei luoghi e di quei tempi. Vedere quei grappoli d’uva appesi e nascosti tra le foglie che giorno dopo giorno riaffioravano sempre più, vedere ingrossare pian piano quei chicchi d’uva ai nostri occhi ancora piccoli, sembravano quasi miracoli.
Eravamo quasi sempre sporchi di terra e spesso così andavamo a dormire su quelle lenzuola ruvide che avvolgevano la “saccone” piena di “fronde”.  
Ogni tanto il cielo si faceva minaccioso e noi a correre a coprire tabacco,  fichi e pomodori messi al sole a seccare.
Andò così ogni estate sin quando mio zio che era il  “contadino” e che coltivava i  terreni, così come cominciavano a fare in tanti, partì a lavorare in Svizzera.
Tante terre furono abbandonate e tante case di campagna per tanti lunghi anni restarono vuote. Oggi quelle case si vedono di nuovo accese, ma hanno altre forme,  altri colori, lunghi viali, strade asfaltate.
Di quell’albero di fica-paccia, di quello di fracazzane, di quel maestoso albero di “cutugnu” che mai ci fece mancare la marmellata, nessuna traccia.
Solo ricordi che scorrono davanti a noi, solo foto ingiallite che scorrono ogni tanto nella nostra mente.
Forse perché vogliono essere raccontate, forse perché vogliono essere un po’ guardate o forse non vogliono essere dimenticate.